Intervista a Luigi: “I nostri orti, e gli ortisti che li coltivano, non guardano con nostalgia al passato ma con fiducia al futuro”
Ciao Luigi, potresti dirmi in qualche parola come nasce la società agricola Fiore del Deserto?
La nostra società agricola nasce nel 2009 dall’integrazione di tre fattori: la terra che circonda la nostra comunità socio-educativa per adolescenti in stato di bisogno, la sensibilità ambientale delle persone che l’hanno fondata e una follia: la follia di portare un’esperienza agricola vera e concreta tra i giovani con disagio psicosociale.
La società agricola Fiore del Deserto è un progetto di agricoltura sociale per sostenere i percorsi riabilitativi e terapeutici dei giovani ospiti presso le comunità de Il Fiore Del Deserto.

In cosa consiste il vostro progetto di orti urbani? Come funziona e dove si trovano questi orti?
I nostri orti urbani nascono per recuperare le tradizioni contadine e ricostruire un legame tra la città e la campagna. Un legame che non dobbiamo perdere se vogliamo trovare una risposta agli effetti collaterali di uno sviluppo incontrollato indotto dall’espansione dissipante che caratterizza questa fase storica delle aree metropolitane. I nostri orti, e gli ortisti che li coltivano, non guardano con nostalgia al passato ma con fiducia al futuro, con la zappa rivolta al bisogno crescente di benessere alimentare, sana nutrizione e conservazione degli eco-sistemi.
I nostri orti si trovano in un’area verde di circa sette ettari nella valle dell’Aniene dove si sono incontrate due necessità: fare agricoltura sociale per creare altre e nuove opportunità di lavoro per persone svantaggiate e rendere fruibile ai cittadini del territorio un’area di pregio paesaggistico, in cui sperimentare percorsi di orticoltura coltivando un orto urbano.

Per quanto riguarda l’apicoltura quali sono invece i progetti in atto? Come si sviluppano?
Abbiamo lanciato il progetto “L’apicoltore consapevole” per formare migranti con protezione umanitaria alle tecniche dell’api-agricoltura, un indirizzo agricolo che integra l’apicoltura con le coltivazioni. L’impollinazione aiuta la biodiversità e la biodiversità aiuta le api. Collaboriamo per questo progetto con il CIR (Centro Italiano Rifugiati).
Inoltre in questi ultimi giorni stiamo partecipando al progetto Apincittà promosso dalla FAI (Federazione Apicoltori Italiani) e dal Comando dei Carabinieri Forestali, per monitorare i livelli di inquinamento e realizzare una mappatura della biodiversità vegetale di Roma.
Tutto ciò si inscrive in un più grande progetto di agricoltura sociale. Quali sono a questo proposito i vostri obiettivi e qual è la vostra missione?
Il nostro Progetto si chiama “Coltivare il Futuro” e si muove per piccoli passi, con opere quotidiane e autonome rispetto ai grandi network nazionali dell’agricoltura sociale.
La nostra missione è quella di promuovere percorsi riabilitativi e di inclusione con lo sguardo rivolto ai cambiamenti sociali, alle culture e alle differenze che ridefiniscono l’attuale orizzonte sociale.
In questo momento storico è importante promuovere il valore inalienabile della terra e noi operiamo per reintrodurre ciò che non c’è più nella sensibilità cognitiva diffusa e che esprime il valore del tempo, del lavoro e dell’attesa.

Per noi, riportare la natura dentro le società odierne, farla vivere come un bene che apporta benessere e qualità alla vita generando nuova occupazione, rappresenta l’impegno, alla base del contratto morale tra la nostra organizzazione sociale e le persone a cui è destinato il progetto “Coltivare il Futuro”.
Quali sono i vostri prodotti e come li commercializzate?
I nostri prodotti sono i prodotti dell’apicoltura quali miele, polline e propoli e i prodotti orticoli rigorosamente naturali e coltivati secondo le stagioni. Gran parte della nostra piccola produzione è venduta direttamente in campo. Abbiamo dato vita ad un sistema di filiera corta che comprende le famiglie che abitano il nostro territorio, e un gruppo bio locale.

Riguardo a voi, avete sempre lavorato nel settore agricolo? Qual è il vostro percorso personale?
Siamo un gruppo con alle spalle storie molto differenti e il lavoro agricolo è stato per tutti una opportunità per un riscatto da condizioni di guerra e povertà, per un ripensamento culturale e di scelta di vita. Siamo migranti, giovani con situazioni penali, ex-detenuti, psicologi….. Abbiamo fatto mille lavori ma quello agricolo oggi li riassume tutti.
Cosa più vi piace di questo lavoro?
Ciò che più ci piace di questo lavoro è stare a contatto con la natura.
Un pensiero per concludere?
Lo prendo in prestito da Andy Warhol: “Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare.”