Orti Dipinti

Intervista a Giacomo di Orti Dipinti: “Siamo all’aria aperta, tra il cinguettio degli uccelli, a coltivare piante e persone”

Ciao Giacomo, potresti raccontare in breve come nasce Orti Dipinti? Cosa ha ispirato la scelta del nome?

Il luogo si chiama Orti Dipinti perché situato in Borgo Pinti, e perché in Borgo Pinti (che significa letteralmente “borgo dei dipinti”) ero solito trovare dei pittori che dipingevano i tanti giardini/orti dei conventi e dei monasteri presenti in questa via.

Personalmente, da architetto, ho sempre ammirato chi è in grado di progettare gli spazi trasformando luoghi abbandonati o trascurati in qualcosa di attraente e adatto alle nuove funzioni da svolgere.

Orti Dipinti è un esperimento felicemente riuscito che ha tramutato una vecchia pista di atletica abbandonata in un orto urbano, che amo definire come Community Garden 2.0. E’ uno spazio dove oltre agli ortaggi e frutti, si coltivano anche relazioni sociali e scambi di conoscenze. Mi piace considerarlo come un laboratorio a cielo aperto, ispirato ai famosi laboratori fiorentini del Rinascimento, dove la contaminazione tra le varie arti espressive era parte integrante.

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Per realizzare questi orti è stato necessario molto tempo e denaro. Una volta scovata la pista grazie a Google Maps, convinti i fruitori (la cooperativa Barberi, che si occupa di attività ricreative per ragazzi con difficoltà) e l’amministrazione comunale che ne è proprietaria, ho creato un progetto architettonico, ancora oggi in evoluzione. Con questa progetto ho iniziato a bussare a porte di privati, enti, aziende, associazioni e di chiunque altro potesse contribuire in un modo o nell’altro alla nascita e allo sviluppo di Orti Dipinti.

Ci sono voluti 3 anni, dal 2010 al 2013, anno in cui è stato ufficialmente inaugurato dall’allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Oggi la ricerca di fondi continua, per potere dotare lo spazio di nuove strutture e strumenti in grado di migliorare i servizi educativi che vogliamo offrire a cittadini e studenti.

In cosa consiste principalmente la vostra attività?

Con affanno ci stiamo districando tra i diversi limiti e le criticità che si sono presentate. Partiamo dal fatto che questo è uno spazio nato con finalità didattiche e non commerciali e quindi non vendiamo quello che produciamo. Ciò che viene prodotto piuttosto viene diviso idealmente in tre parti: un terzo va a chi lavora, un terzo viene condiviso con la comunità in occasione di pranzi o cene sociali e un altro terzo va a chi sostiene con un’offerta il progetto.

Certo un giorno ci piacerebbe poter vendere alcune piantine o alcuni gadget per portare avanti le nostre attività, ma da convenzione questo per ora non è possibile.

Le attività didattiche che personalmente conduco agli Orti Dipinti però non entrano in alcun conflitto con le regole imposte dalla convenzione col Comune. A tale proposito posso dire che le Università americane si sono dimostrate fin da subito molto curiose e collaborative, al contrario di quelle italiane.

Gli studenti americani fanno visite guidate, partecipano attivamente a workshop, assaggiano alcune erbe dell’orto. Si divertono a creare infusi aromatici assortiti con combinazioni di erbe. Le erbe aromatiche diventano quindi un bene che si aggancia ad un servizio.

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Ai workshop agli americani si aggiungono i laboratori con i bambini o feste di compleanno. Il nostro spazio è aperto anche a differenti eventi. Negli anni abbiamo fatto corsi, eventi di danza, aperitivi e cene. Purtroppo, da questo punto di vista abbiamo dei grandi limiti soprattutto per quanto riguarda il rumore che possiamo generare, visto che siamo in una zona residenziale.

E poi c’è il “green market” on line! Qui presentiamo una serie di idee reinventate e recuperate con l’obiettivo di instillare il seme della consapevolezza ambientale e alimentare nelle persone. Abbiamo una serie di gadget a tema green, come le bacchette magiche germinanti, gli infusi e i sali aromatici, le cartoline con ricette e tanti altri in mostra sul sito di Orti Dipinti.

Sono piccoli oggetti che però hanno un grande potenziale. Proprio come i semi del nostro orto, che da piccoli come sono diventano piante vigorose in grado di offrirci una sana alimentazione.

Anche così, Orti Dipinti vuole offrire i frutti di questa presa di coscienza ambientale.

Potresti dirci di più sul vostro community garden (Dove si trova, cosa fa, quali sono gli obiettivi ecc.)?

Si trova in centro a Firenze, in Borgo Pinti 76, di fronte al Four Seasons Hotel e di fianco a un centro di attività ricreative per ragazzi con difficoltà.

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Questo spazio nasce sull’eredità degli orti sociali, che di sociale hanno soltanto il nome. Il progetto prende spunto da quelle esperienze di Community Garden anglosassoni che hanno espresso maggiormente la possibilità della collaborazione e della convivialità. Il tutto andando oltre la coltivazione e sviluppando una nuova concezione di orto urbano quale luogo dove fare attività, cucinare insieme, mangiare insieme. Agli antipodi rispetto ai nostri orti sociali che sono spesso mal tenuti, poco frequentati e dove vige ancora la mentalità della proprietà privata. A volte, se trovi l’anziano che lo gestisce, può anche capitare che ti guardi in cagnesco perché ti sei avvicinato troppo e ha paura tu possa rubargli le sue verdure.

Orti Dipinti si vuole distaccare da questa concezione di orto facendo divenire questo spazio prima di tutto un luogo di aggregazione sociale e scambio reciproco tra persone. Oggi l’obiettivo non è più quello iniziale di coltivare, ma di imparare, stare insieme e fare delle esperienze.

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Quella della coltivazione urbana è ‘una scusa’ per poi innescare un’infinità di processi e collaborazioni. Ci piacerebbe che la nostra idea di Community Garden potesse diventare un modello a cui auspicare e da replicare in altre realtà. Vorremmo far passare il messaggio che, con una spesa relativamente molto bassa, è possibile riqualificare spazi abbandonati, innescando tantissime interazioni sociali tra persone.

Quali sono le principali attività che svolgete presso gli orti?

In 5 anni di attività abbiamo sperimentato diverse proposte che hanno in comune le parole chiave sopra citate. Finora ci sono state feste di compleanno per bambini, lezioni di orticultura a studenti, brunch, pranzi, merende e aperitivi. A questi ultimi si accompagnano altri piccoli eventi collaterali come le presentazioni di libri o piccole conferenze. Abbiamo ospitato diversi laboratori per creare infusi, sali aromatici e degustazioni di olio o vino. Altre volte sono venuti gruppi di bikers, di yoga, di Tai Chi, di massaggi orientali.

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Là dove si parla o sperimenta l’alimentazione sana, il benessere in generale, la “convivialità di paese” o la salute in generale, Orti Dipinti può essere un luogo perfetto. In cambio chiediamo un’offerta che ci permette di rendere appunto più sostenibile lo sviluppo del progetto, che ha l’ambizione di crescere ancora molto. Ci piacerebbe diventare un punto di riferimento non più solo nazionale, ma anche mondiale.

C’è qualche aneddoto simpatico che puoi raccontare riguardo alle attività, per farci capire meglio di che si tratta?

Oltre alle attività di giardinaggio, organizzazione di piccoli eventi e lezioni specifiche su orticultura, ambiente e sana alimentazione, quella che stiamo sperimentando con più interesse è legata alla trasformazione degli scarti. Scarti della cucina, pallet, letame, carta, casse di legno e tanto altro viene trasformato e valorizzato. A volte sfruttiamo le esperienze globali scovate su internet e le rielaboriamo. Pubblichiamo poi il risultato sui nostri canali. In questo modo, contribuiamo allo sviluppo di conoscenze utili e di buone pratiche per l’ambiente.

La materia senz’altro meno gradevole da manipolare e trasformare è lo sterco di cavallo, con cui letteralmente “coniamo” delle monete, da usare o proporre come fertilizzante. Ecco, questa attività solitamente non ha la fila di volontari, per essere svolta!

In che modo è possibile partecipare?

La partecipazione ci ha stupito per la qualità delle persone coinvolte, per il loro entusiasmo ed eterogeneità. È difficile definire quali sono i principali partecipanti perché variano per età, classe sociale e nazionalità.

Tutti possono partecipare, e intendo proprio tutti! Dipende chiaramente solo dal tipo di attività che vengono svolte.

Il volontario ha una vasta scelta di attività a cui dedicarsi e può decidere in che modo collaborare, sotto attenta supervisione. Ci sono molti modi per interagire con lo spazio. Lo si può semplicemente visitare, si può partecipare ai laboratori, curare l’orto o collaborare allo sviluppo dei nostri progetti. Di fondo c’è dunque una mentalità semi-aziendale, ma oltre a creare lavoro si vuole anche generare ricchezza che andrà poi ripartita.

Dopo questi anni di gestione ho imparato che i volontari vanno e vengono anche in base alle loro possibilità e disponibilità. Più che a “donare” il proprio tempo, le persone vengono qua a scambiarlo in cambio di emozioni, esperienze, conoscenze.

Riguardo a te personalmente, qual è il tuo percorso personale? Hai sempre lavorato a contatto con l’orticultura? Cosa più vi piace del vostro lavoro?

Io sono bolognese e a Firenze mi sono formato come architetto. Una volta laureato iniziai a lavorare nella fotografia e video-animazione. In seguito però, il richiamo della natura è stato così forte che, dopo una militanza nel “guerrilla gardening”, decisi di progettare e creare un orto didattico ispirato appunto ai Community Garden.

 

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Unire la progettazione architettonica al mondo botanico si è rivelato quindi un percorso quasi inevitabile per me. Oggi continuo a percorrerlo con gioia e passione! Avere sul cemento urbano un luogo verde dove potere “rifugiarsi”, come fosse un’oasi, ci offre belle prospettive per il futuro e rende questo lavoro molto piacevole. Siamo all’aria aperta, tra il cinguettio degli uccelli, a coltivare piante e persone, rendendole (si spera) più consapevoli e rispettose dell’ambiente. È un bel lavoro.

Come conciliate i concetti di collaborazione, condivisione, volontariato con l’orticultura, ad Orti Dipinti?

Lo spazio è aperto a tutti, ma ognuno lo vive e interpreta a modo proprio.

Chiaramente la prima cosa che viene in mente è coltivare ortaggi, ma esistono molti altri modo per usufruirne. C’è chi viene a passeggiare, studiare, leggere un libro, odorare le piante aromatiche, fare delle foto, giocare con il cane, curiosare, dipingere ecc.

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Il giardino è solo un contenitore dove catalizzare più risorse. Gli ortaggi sono solo uno strumento, in fondo, ma uno strumento molto potente per facilitare le relazioni. In sintesi, il Community Garden è pura tecnologia sociale.

Chi lavora agli Orti Dipinti in maniera costante invece fa parte di programmi per l’inserimento socio-lavorativo e socio-terapeutico. Ci sono poi studentesse americane che svolgono uno stage  formativo di qualche mese. Ci sono i volontari, ovviamente, e altri amici o conoscenti con cui stiamo continuando o iniziando collaborazioni.

È un luogo dove si possono combinare creativamente più menti, risorse, progetti, anche in maniera spontanea, a seconda di chi lo frequenta in quel momento.

Pertanto, ci risulta facile conciliare qui tutte queste attività, persone e riflessioni.

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C’è un piccolo pensiero che vorresti aggiungere per chiudere?

Certo, il nostro motto: “Enriching Our Community As We Grow Together”. Arricchire la nostra comunità crescendo insieme.

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