Intervista a Guido: alla scoperta dei benefici dello Zafferano nei dintorni di Milano
Ciao Guido, potresti raccontarmi brevemente in cosa consiste la vostra attività a Zafferanami? Come è nata?
In una frase, ci occupiamo di zafferano al 100%. Zafferanami infatti è un’azienda agricola “mono-prodotto”. L’idea nasce da una storia familiare, dall’orto del nonno. Proprio grazie a lui, anni dopo, io e mio cugino abbiamo deciso di lanciare Zafferanami, con questa idea di base: produrre lo zafferano a Milano, per un risotto alla milanese al 100%.
Sia io che mio cugino facciamo anche altre attività quindi ci mancava un po’ il ritorno alla terra, alla concretezza, che spesso si perde in molti settori di servizi più avanzati. Così siamo partiti nel 2012 e quest’anno possiamo dire di vivere il nostro settimo raccolto.

L’attività di Zafferanami si basa su 3 pilastri fondamentali:
Quello della sostenibilità economica, che consiste nella remunerazione del lavoro svolto da noi e dai nostri soci. Quello della sostenibilità ambientale, perché conduciamo il tutto con logiche biologiche organiche e cercando di limitare i passi di movimentazione della terra, ispirandoci a principi di coltivazione sostenibile. In questo senso promuoviamo anche lo zafferano come strumento di recupero di terreni abbandonati; infatti sono molti gli appezzamenti nelle aree suburbane della città, che vengono lasciati in uno stato di degrado e hanno bisogno di essere riqualificati. Poi c’è il pilastro della sostenibilità sociale in quanto lo zafferano si presta perfettamente come mezzo e strumento per il reinserimento lavorativo di persone diversamente abili o per progetti lavorativi gestiti da istituzioni carcerarie.
E cosa si intende per produzione agricola artigianale sostenibile?
Artigianale perché conduciamo in prima persona tutto il processo da cima a fondo. Partendo dai nostri interventi con operazioni a basso livello di meccanizzazione, fino a tutte le operazioni di raccolta, essiccazione, confezionamento, distribuzione e vendita. È un processo seguito interamente da noi, definito di natura artigianale e non industriale, proprio per la natura delle attività svolte. Molte di queste fasi sono condotte manualmente e questo è un po’ l’aspetto fondamentale, anche per l’importanza di salvaguardare nicchie di lavoro manuale dignitosamente remunerato.
Quali sono i vostri principali prodotti?
Come ti dicevo produciamo zafferano 100%, neanche trasformati. Ne proponiamo poi diverse forme in chiave di packaging e quantità. Ad esempio il boccino in vetro con tappo in sughero (contenente 0.3 grammi) si presta bene all’utilizzo corrente o in chiave di regalistica. Oppure il formato bustina ancora più volto all’uso corrente. Oltre a questi, proponiamo il cubotto di riso sottovuoto quadrato con giustapposta bustina di zafferano, che è molto funzionale come idea regalo per una cena particolare o una semplice cena con amici, piuttosto che per un regalo aziendale, o natalizio.
Stiamo recentemente ragionando anche sui prodotti trasformati e non è escluso che nel prossimo futuro si decida di lanciarne qualcuno. Inoltre di recente abbiamo già avviato un progetto che si prefigge, tra altre finalità, anche il recupero ambientale. Abbiamo impiantato un centinaio di piante da bacca che speriamo di raccogliere tra qualche anno. A quel punto non sarà più solo zafferano. Va però notato che queste piante hanno una raccolta scalare, speriamo di replicare a livello di coltivazione il modello dello zafferano, con un concetto di recupero di una forma di lavoro arcaica e manuale che possa trovare una remunerazione dignitosa grazie al riconoscimento sul mercato del valore associato a prodotti genuini e di qualità, nonché con una forte caratterizzazione locale.
È proprio per sviluppare questo progetto, che abbiamo chiamato “PerBac!”, che abbiamo lanciato una campagna di crowdfunding sulla piattaforma produzionidalbasso.com, per aiutarci a gestire e mantenere il filare da qui a quando questi diventerà produttivo. Abbiamo già fatto l’impianto, ora c’è molto lavoro di manutenzione e gestione.
Qual è il metodo di coltura utilizzato e quanto influisce la composizione del terreno della zona?
Per quanto riguarda il metodo, le nostre, come accennavo, sono metodologie volte a minimizzare il movimento della terra quanto più possibile. Le terre in cui andiamo a lavorare sono tipicamente zone coltivate a seminativa (grano, mais ecc.).
Solitamente chiediamo ai terzisti, che hanno in mano le terre in cui abbiamo intenzione di andare ad operare, di sospendere per alcuni anni questo tipo di coltivazioni, sostituendole con prato misto a trifoglio o simili. In questo modo cerchiamo di ripristinare il terreno.
Dopo una prima lavorazione (aratura), subentriamo con il primo impianto di bulbi di zafferano.

Da quel momento le operazioni che andiamo a fare sono prevalentemente manuali. Dall’impianto dei solchi il terreno non viene più mosso. Ciò che viene dopo è un lavoro molto più manuale. Effettuiamo una scerbatura selettiva volta ad eliminare le graminacee, per il resto molte sono semplicemente operazioni di taglio volte a far sì che le altre piante presenti non finiscano per prevalere sullo Zafferano.
Dal punto di vista dei concimi, facciamo uso di prodotti in pellet certificati e ammessi in regime biologico e lo utilizziamo esclusivamente nei due momenti all’anno nei quali è necessario dare un apporto allo zafferano. La pianta di suo è robusta e si presta bene a questo terreno quindi non è necessario esagerare.
Per quanto riguarda l’acqua è sufficiente quella piovana, perché lo zafferano è una coltura non irrigua, quindi non necessita di un grande apporto.
Il vostro è il primo zafferano a filiera corta. In merito a questo, come commercializzate i vostri prodotti?
Possiamo dire che si tratta per l’80% di commercializzazione diretta, e per il restante 20% di vendita tramite rivenditori.
La parte diretta è per eccellenza convogliata in eventi, mercatini ecc., a cui partecipiamo in prima persona, con maggior peso durante la stazione invernale pre-natalizia (che pesa all’incirca un 15-20%).
Oltre questo, abbiamo una clientela privata di Retail raggiunta tramite rete di conoscenze personali dei soci, agganci di privati che vengono a conoscenza della nostra realtà o amici di amici che gestiamo tutte in chiave diretta.
Un’ultima forma di vendita diretta importante è quella verso aziende, per la regalistica aziendale (per Natale o eventi), per la quale ci occupiamo spesso anche della personalizzazione della grafica di confezionamento.
Poi c’è la vendita del prodotto prevalentemente sfuso per ristoranti, gelaterie e birrifici e ci stiamo adoperando per nuovi progetti, quindi potrebbe esserci un primo caso per azienda cosmetica…vedremo!
Per quanto riguarda invece la parte indiretta, la commercializzazione del nostro zafferano avviene attraverso rivenditori dei paesi del circondario (nei dintorni di Varedo e a Milano città ecc.) o ancora, ci avvaliamo di alcuni siti di Marketplace online, più o meno attivi: ne abbiamo uno a tema matrimoni, uno a tema welfare aziendale, un altro più orientato a temi di nutraceutica. Ora ne stiamo attivando un altro paio che potrebbero avere un risvolto più orientato all’export (UK).
Abbiamo avuto casi di vendita anche a Tokyo in passato però, a parte casi eccezionali come questo, finora non abbiamo sviluppato vendita estera perché non ne abbiamo avuto particolare esigenza.
Siamo consapevoli che forse qualcosa stiamo perdendo, senza un nostro proprio e-commerce a cui accedere direttamente e facilmente dal nostro sito, ma se devo scegliere io, è molto più divertente e colorito vendere direttamente ed entrare in contatto con le persone piuttosto che vendere online. “Less is more”: preferisco vendere a pochi ma conoscerli personalmente.
Riguardo i vostri corsi di formazione invece? Come funzionano, a chi sono diretti principalmente e come possono favorire la salvaguardia del territorio e i meccanismi di associazione?
I corsi di formazione sono diretti prevalentemente a persone interessate ad avviare un proprio Zafferaneto, perché in possesso di un terreno che vorrebbero mettere a frutto in qualche modo. C’è anche però la casistica del curioso, o per farti un esempio di colui che abita al nord ma ha terreni di famiglia al sud che vorrebbe mettere a reddito e decide di investirci in questo modo.
Il corso in sé dura una giornata, solitamente dalle 9 alle 20 circa. Siamo tipicamente sulle 10-12 persone. Quando la numerica è questa, siamo in due a tenere il corso. Questi si sviluppa in vari moduli: si comincia con una parte più divulgativa ed informativa, poi ci si addentra in quella che è la botanica della pianta, per passare alle tecniche colturali ed arrivare al tanto atteso momento a pranzo in trattoria. Qui si mangia, gustando rigorosamente piatti a tema e a seguire si parte per una bella passeggiata al campo di zafferano. Nel pomeriggio si passa alla parte che prevede: raccolta, sfioritura, essiccazione, qualcosa di normativa e per chiudere in bellezza un caso di studio su un tipico Zafferaneto, con numeri sulla sostenibilità economica, da svolgere per farsi un’idea più precisa in merito alla robustezza del proprio progetto.

Chiaramente per partecipare ai corsi è prevista una quota di iscrizione ma questo anche perché cerchiamo di trasmettere l’esperienza diretta, dare prova di ciò che abbiamo appreso, anche e soprattutto grazie agli errori commessi, che abbiamo pagato a duro prezzo sulla nostra pelle. A fine corso quindi ognuno può dire di partire, nello sviluppo della sua attività, quantomeno da una curva di apprendimento più alta, in merito agli errori da evitare, grazie ad una condivisione dell’esperienza passata.
Questo poi ci permette di rimanere in contatto e di perseguire questa condivisione di esperienze, informazioni ed errori. In agricoltura infatti è difficile avere certezze e in questo modo possiamo almeno ampliare il numero di persone che le condividono al fine di beneficiarne tutti.
Mi accennavi a progetti di ricerca. In che modo collaborate con enti ricercatori?
Si, siamo molto coinvolti in progetti con enti di ricerca nazionali e internazionali.
Negli anni passati siamo stati implicati come stakeholder nel progetto paneuropeo Saffronomics. In questa occasione, abbiamo contribuito, per un panel molto ampio di esperti, ad un progetto progetto che voleva valorizzare ed indagare la coltivazione dello zafferano a tutto tondo. Da lì, poi siamo rimasti in contatto con molti di questi enti. Abbiamo contribuito con campioni di materiale (anche petali e parti che oggi non vengono usati) e questo ha permesso di trovare tutta una serie di soluzioni e di avere risultati e riscontri scientifici sul fatto che i metodi di essiccazione che utilizziamo ottimizzino effettivamente le qualità della spezia.
L’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) anni fa, ad esempio, ha brevettato un metodo per sintetizzare con delle biotecnologie, le crocine (sostanze contenute nello zafferano) che hanno un potere scientificamente riconosciuto contro le degenerazioni di alcune retinopatie.
In pratica hanno ricostruito la pathway enzimatica e hanno brevettato un modo per produrre su più larga scala, con queste biotecnologie, le crocine, per poi utilizzarle anche in ambito farmaceutico o nel settore degli integratori alimentari.
È bello perché sei sulla cresta dell’onda. Lo zafferano è sempre stato coltivato da piccoli nuclei a livello familiare quindi è un po’ tutto da scoprire e a noi piace nel nostro piccolo contribuire.
Questo per quanto riguarda l’aspetto scientifico, ma va poi sottolineato che questi bandi di ricerca hanno anche un altro scopo: valorizzare la coltivazione di zafferano, evidenziandone il valore aggiunto, come motore di un’economia circolare e sostenibile. In controcorrente rispetto ai flussi commerciali di enormi quantità di zafferano prodotte per lo più in Iran, Pakistan ed Afghanistan, che rischiano di far subentrare nei nostri mercati prodotto in polvere potenzialmente soggetto a casi di sofisticazione alimentare.
Riguardo te personalmente, cosa ti piace di questo mestiere?
Vengo da un mondo totalmente differente, ma da quasi due anni ho abbandonato il mio lavoro di consulenza direzionale a banche. Ero all’interno delle direzioni centrali delle banche, mi occupavo di sistemi di controllo di gestione e di risk management. Oggi, la cosa bella dell’essere passato a fare questo nuovo lavoro, è il contatto con la natura, la riscoperta delle stagioni.
Inoltre questo mestiere mi consente di vedere la concretezza del prodotto che creo. Prima la manifestazione più concreta di ciò che facevo era la stampa di una slide PowerPoint, mentre qui segui tutto il processo di creazione concretamente, passando dal terreno incolto, al tuo barattolino di prodotto finito con il quale ti fai il tuo piatto di risotto.
Hai a che fare con le piante durante la settimana e spesso e volentieri incontri e scambi due parole con le persone durante il weekend quando sono più rilassate e felici, prima succedeva il contrario.
È chiaro che guadagni di meno e c’è fatica fisica, ma non direi che sia più faticoso in assoluto. Mi sento bene e sono soddisfatto, perciò questo rende il tutto molto più sostenibile dal punto di vista dello stress mentale e fisico.
Come e in quale maniera ha influito e influisce sulla vostra attività la possibilità di poter beneficiare di incentivi o di fondi per le vostre iniziative?
In tutte le campagne di finanziamento ci sono i pro e i contro. Ad esempio, abbiamo fatto un primo finanziamento in fase di startup e devo dire che il bilancio finale è stato, tutto sommato, positivo. Però ricordo che nel corso della campagna non tutto è stato rose e fiori, perché quel tipo di bando ci costringeva ad aprire l’attività solo una volta ultimata la raccolta e questo ci ha un po’ rallentati. Si potrebbero accorciare i tempi di realizzazione. Complessivamente bisogna però dire che ci ha permesso di avere le risorse minime sufficienti.
Adesso abbiamo un paio di bandi aperti: uno già presentato, l’altro da sviluppare più nel dettaglio e li stiamo tutti orientando sul discorso della cosmetica a partire dai petali.

Questi infatti sono oggi scarti di produzione, però hanno dietro tanto lavoro di raccolta e di pulitura. Dei petali separati e freschi infatti oggi come oggi, a parte una piccola parte essiccata per decorazioni, tutto il resto viene gettato e sprecato.
Qualche parola per concludere?
Ci terrei solo a sottolineare un unico aspetto che non abbiamo precisato, ovvero quello della valorizzazione dello zafferano in chiave di Functional food, nutraceutico.
Questo aspetto infatti per quanto riguarda lo zafferano è ancora oggi poco noto ma i benefici sono tanti. È un aspetto che amplia molto le potenzialità del mercato a cui ci rivolgiamo.
Ci sono, ad esempio, tutta una serie di caratteristiche positive associate al fatto che la crocina è un carotenoide, un importante antiossidante. Infatti, mangiando ad esempio un piatto di risotto, stiamo mangiando in realtà mezza carota (o una carota intera) circa, in termini di benefici, grazie alle altissime concentrazioni di carotenoidi presenti nello zafferano (pari a circa 8.000 volte quelli della carota).
Oltre agli antiossidanti, lo zafferano ha benefici scientificamente provati contro la degenerazione di maculopatie retiniche senili. Oltre a questo lo zafferano è ricco di sali minerali (es. potassio e magnesio), contiene acido folico, oltre che vitamina C in concentrazioni simile a quelle del kiwi. Ha proprietà antidepressive, digestive e tanti altri aspetti positivi completamente ignorati.
Infine, nella cultura italiana spesso accade che il suo utilizzo in cucina sia associato quasi esclusivamente al risotto, il che ne limita un po’ l’utilizzo, in quanto può essere impiegato anche per dolci, carni ecc. Da questo punto di vista però qualcosa oggigiorno si sta sicuramente muovendo: anche i grandi del settore cercano di diffondere l’idea di utilizzarlo in modi differenti.